Quote, partecipazioni, governance, successione
- avv. Emanuela Zardo
- 2 giu
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 3 giu
Il cuore della successione nell’azienda familiare
La successione in un’azienda familiare non si esaurisce con il trasferimento di quote o azioni. La dimensione patrimoniale, pur centrale, rappresenta solo uno degli aspetti coinvolti. Quello che realmente determina la continuità e la stabilità dell’impresa è il trasferimento della governance: la capacità di decidere, orientare e amministrare l’azienda.
In molte realtà familiari, questo passaggio viene affrontato solo parzialmente o in modo implicito. Si presume che la trasmissione delle partecipazioni coincida automaticamente con il passaggio del potere decisionale. In realtà, la struttura societaria e le dinamiche familiari rendono questa equivalenza tutt’altro che scontata. Per garantire una successione ordinata e duratura, è essenziale comprendere la distinzione tra proprietà e governo, tra diritti patrimoniali e poteri gestionali.
Proprietà delle quote: un’eredità frammentata
Nelle società familiari, le partecipazioni sociali rappresentano la forma più ricorrente di trasmissione dell’azienda. Attraverso il testamento, la donazione, o la successione legittima, le quote vengono attribuite ai discendenti o ad altri soggetti della famiglia. Tuttavia, questo passaggio può generare una frammentazione del capitale sociale che, in assenza di regole interne, si traduce in blocchi decisionali e conflitti latenti.
La semplice detenzione di una quota non conferisce automaticamente la possibilità di incidere sulla direzione strategica dell’impresa. In particolare, la proporzione tra il numero di partecipazioni possedute e i diritti di voto effettivi può essere influenzata da numerose variabili: patti sociali, clausole statutarie, presenza di quote privilegiate o di partecipazioni senza diritto di voto.
In assenza di un disegno chiaro e di strumenti regolatori, la successione può così determinare un’azienda ereditata da più soggetti, ma governata da nessuno.
Il governo dell’impresa: chi prende le decisioni?
Il potere di indirizzo all’interno di una società non appartiene semplicemente a chi possiede più quote. Appartiene a chi è in grado di esprimere e far valere la propria posizione nei centri decisionali, ovvero nell’assemblea e negli organi di amministrazione.
Nel momento in cui l’azienda familiare viene trasmessa, è quindi fondamentale porsi alcune domande cruciali:
Chi detiene la capacità di nomina degli amministratori?
Chi ha accesso alle informazioni strategiche e operative?
Chi può condizionare o autorizzare le operazioni straordinarie?
In molte società, la governance si basa su rapporti consolidati tra familiari. Tuttavia, nel momento in cui questi rapporti si modificano — per effetto di decessi, nuove generazioni o coniugi subentranti — le dinamiche interne possono cambiare radicalmente. Il rischio concreto è che, anche con una suddivisione apparentemente equa delle quote, l’effettiva capacità di controllo venga meno, lasciando l’azienda esposta a paralisi o spinte centrifughe.
Diritti di voto e amministrazione: non tutto è uguale
Una delle questioni più sottovalutate nella trasmissione dell’azienda è la differenza sostanziale tra partecipazione al capitale sociale e poteri decisionali. Due soggetti possono detenere quote identiche in termini percentuali, ma avere posizioni completamente diverse dal punto di vista gestionale.
Questo dipende da fattori come:
la struttura dell’organo amministrativo (amministratore unico, consiglio di amministrazione, gestione disgiunta);
l’esistenza di patti parasociali che limitano o indirizzano l’esercizio del voto;
le regole statutarie sull’attribuzione dei poteri;
l’eventuale presenza di quote con diritti particolari o con diritti patrimoniali disgiunti dal voto.
In questo contesto, diventa fondamentale disegnare un assetto societario coerente con gli obiettivi familiari. L’azienda non può essere trasmessa come un immobile: richiede regole vive, in grado di adattarsi alla realtà operativa e alla pluralità di interessi dei soggetti coinvolti.
S.r.l. e S.p.A. familiari: due logiche differenti
Molte aziende familiari operano in forma di società a responsabilità limitata (s.r.l.), considerata più flessibile e personalizzabile. La s.r.l. consente, infatti, un’ampia autonomia statutaria e permette di inserire regole molto dettagliate sulla circolazione delle quote, sulla nomina degli amministratori e sulla ripartizione dei poteri.
In contesti più strutturati si trovano invece società per azioni (s.p.a.) familiari, spesso evolutesi per ragioni dimensionali, fiscali o industriali. In questo caso, il passaggio generazionale è ancora più delicato: le s.p.a. hanno una governance più rigida, e il controllo è strettamente legato alla composizione del capitale e all’accordo tra azionisti.
In entrambi i casi, è essenziale evitare la confusione tra eredi e amministratori: il fatto che un soggetto erediti una quota rilevante non lo rende automaticamente adatto alla gestione. La scelta dell’organo amministrativo deve restare separata dal meccanismo ereditario, ma ben integrata in un disegno coerente.
Successione, governo e continuità: una questione di metodo
La successione societaria non può essere lasciata al caso o affidata alla spontaneità dei rapporti familiari. Se si vuole garantire la continuità dell’impresa, la tenuta del gruppo familiare e la solidità del patrimonio aziendale, è necessario intervenire in via preventiva con una progettazione giuridica precisa e multidimensionale.
Questa progettazione può includere:
la predisposizione di patti parasociali o familiari;
la definizione di regole di ingresso, permanenza e uscita dalla società;
l’introduzione di diritti particolari, clausole di gradimento, patti di voto o vincoli statutari;
la previsione di strumenti per la liquidazione o il riequilibrio tra eredi non coinvolti nella gestione.
Si tratta di un’operazione che ha come obiettivo non solo la protezione dell’impresa, ma anche la tutela dell’armonia familiare, condizione indispensabile per la sopravvivenza dell’azienda nel lungo periodo.
Conclusione
Trasmettere un’azienda familiare significa molto più che dividere quote. Significa garantire che chi succede possa effettivamente governare, o che chi non è coinvolto possa vedere tutelato il proprio valore. Significa separare, con intelligenza giuridica, la proprietà dalla gestione, e costruire un sistema in cui le differenze familiari trovino spazio senza diventare disfunzionali.
Una buona successione non si limita a trasferire l’impresa: la rinnova senza spezzarla.

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